Forse per la prima volta scriverò un post sul mio lavoro.
Forse ispirata dall’anno nuovo. Più probabilmente dalla chiusura di quello vecchio.
Di solito non tratto gli argomenti che affronto quando incontro le persone nel mio studio. Non vorrei si sentissero raccontati dalle mie righe, mi piace che sentano sempre rispettata la loro privacy.
Eppure avrei così tanto da raccontare! Sapete, si dice che chi legge molto vivrà non solo la propria vita, ma molte, molte altre: quelle dei protagonisti dei libri letti. Allo stesso modo credo che il lavoro di psicologa e sessuologa mi permetta di ampliare i miei orizzonti, sempre un po’ più in là, sentendo sconfinate gioie ed interminabili dolori. Storie.
Ma tutte le storie con cui condivido una parte del viaggio hanno un solo elemento in comune: la prevedibile fine.
Nel momento in cui una persona varca la porta dello studio so per certo che ne uscirà. Uscirà dalla mia vita, per sempre.
Questa è l’essenziale differenza tra un rapporto amicale e quello professionale. Intrisecamente è già scolpita la parola fine.
Ed è importante che io sia pronta. Ci saranno fini lievi e fini gravi. Chiaramente il termine del rapporto si ha nel momento in cui non si ha più bisogno di me. Si potrebbe, grossolanamente, dire che le persone che entrano nella mia vita ne escono col sorriso. Ma non godrò della loro fioritura. Sarò stata solo il terreno fertile.
E a volte diventa difficile lasciar andare. Riconoscere la pienezza e farla volare. Fidarsi dell’autonomia e riporre la propria fiducia nelle mani di persone che hanno attraversato la tua vita, a volte non certo in punta di piedi.
Vedo spesso lacrime. I fazzoletti vengono estratti con quel fruscio che quasi potrei associare al mio mestiere.
Più frequentemente sento fragorose risate. A volte di imbarazzo, a volte di sollievo. A volte date dalla presa di coscienza.
Ascolto silenzi, perplessi.
E poi c’è l’intesa. Io, davvero, non saprei spiegarlo, ma poco prima dell’addio compare netta l’intesa. L’aria è pesante e sembra un continuo rimando di “so a cosa stai pensando”. Sorrisi eloquienti. Ci siamo detti tutto. Un uomo, una donna, spalancati sul mondo.
Non sarà che siamo arrivati?
E poi tocca a me: “sei arrivato, sai che questo è un addio?”.
Ovvio, può essere un arrivederci e si fanno quelle promesse tipiche dei compagni d’Erasmus: verremo a trovarti, appena ho notizie ti faccio sapere. Quelle frasi che servono a ricordarci che per qualsiasi cosa siamo qui.
A volte ritornano. Ma l’idea, sempre all’interno, è l’addio.
Carissimi,
vi penso spesso.
Sorrido alle vostre parole che mi ritornano alla mente nella mia quotidianità, vive nel mistero di chi non le può raccontare.
Grazie del dono della vostra ricchezza, che mi permette di vivere forte e vera.
L’incredibile non narrabile che accade in una relazione particolarissima.
Finisce l’agenda 2015, dico addio ad un anno denso.
E sono pronta per nuovi addii. Benvenuto 2016.