SEX PILLS – La monogamia è una moda.

Scrive nel 1974 la nota psicoterapeuta Helen Singer Kaplan, madre di tutti i sessuologi del mondo:

Parallelamente va diffondendosi la monogamia: osserviamo sempre più coppie sposate di mezza età che, insoddisfatte della propria vita sessuale, preferiscono migliorarla piuttosto che rischiare incontri sessuali con nuovi partner.

“Va diffondendosi la monogamia” è una scelta lessicale importante.
La Kaplan attribuisce questa tensione alla coppia a due novità dell’epoca: la lunghezza sempre maggiore della speranza di vita media e la diffusione di una consapevolezza verso le malattie sessualmente trasmissibili.

Perchè questa frase, inserita nel Manuale Illustrato di Terapia Sessuale, è così significativa per me? Perchè spesso crediamo che la visione moderna della famiglia nucleare fedele a se stessa sia sempre esistita. Invece si tratta di un prodotto culturale altamente contemporaneo e presupporre che sia sempre stato così è, perlomeno, “un po’ egoista e poco fantasioso e forse un po’ cattolico, e poco divertente, molto presuntuoso, molto limitante“.
Un tempo le coppie non erano statiche: i mariti andavano in guerra e le donne morivano di parto. Molti venivano lasciati agli orfanotrofi. I cadetti erano iscritti ai seminari e nei monasteri. Le donne senza dote rimanevano serve zitelle della famiglia d’origine. Non era semplice avere figli, il ciclo arrivava a 20 anni, molte donne in menopausa precoce venivano ripudiate per questo. La mortalità infantile era elevata e spesso le famiglie non erano che comunità di sopravvivenza: uomini, donne e bambini che si organizzavano per vivere. Ed inoltre… sorelle che si spartivano i figli per garantirsi serenità per la vecchiaia, le balie e fratelli di latte, le adozioni in età adulta.

Basti pensare ad Enrico VIII d’Inghilterra ed alle sue 6 mogli. Ebbe 3 figli che sopravvissero e che vennero considerati legittimi, di cui un solo maschio che ereditò per primo il regno. Ma morì giovane. E quindi furono le sorellastre ad ereditare la corona inglese: una non ebbe figli, la seconda non si sposò mai.

 

La monogamia è attuale e di gran moda. Lo notava la Kaplan negli anni settanta. Prima c’era una società non mantenuta assieme grazie all’amore… riusciresti ad immaginarla?

Far reggere un’intera famiglia appoggiandosi sul variabile sentimento dell’amore è una scommessa moderna in questo mondo di benessere, salute e pace.
Voler riaccendere il desiderio, pretendere un’intimità più soddisfacente, acquisire la capacità di comunicare all’interno della coppia sono esigenze moderne, figlie del nostro tempo.

Preservare l’amore di coppia va oltre l’eredità dei nostri antenati.

E’ una scelta. E’ un dono della nostra epoca.

Gender: il serpente e la mela. La fame della verità.

Serpeggia.

Comincia con giochi da maschio e giochi da femmina. Colori da maschio e da femmina.
Come fosse un serpente incantatore, che ti fa volere quello che lui vuole.
Ti fa scegliere quello che lui, strisciando, ultimo degli animali, ha proposto a te: la maglia della tua squadra preferita o gli ombretti serie limitata.

E tu alla fine cogli la mela. E la offri, assumendoti la responsabilità di essere stato tu.

Finisci col credere che da sempre eri tu a volerlo, un tuo latente desiderio inespresso.
Sei tu in fondo che lo hai sempre voluto.

Solo che un giorno, ti guardi e scopri la tua nudità. Scopri che qualcosa serpeggiava, ha definito cosa eri tu. Ed adesso, che hai occhi nuovi, chi sei?
Giovedì ho condotto la serata sulla costruzione delle identità sessuali per il percorso L’Amore ViGiova assieme alla collega Stefania.

Il progetto nasce da una tavola dei lavori ricca di personalità differenti (e discussioni frequenti), ma abbiamo voluto parlare della costruzione delle identità personali, che ognuno di noi affronta continuamente nella propria vita.
Proprio questa lotta, che mai sembra avere fine, ci accompagna, facendoci percepire sempre lacunosi nella definizione di noi stessi. “Siamo in cammino” sembra essere l’unica risposta possibile. A volte può risultare difficile perchè è faticoso rivalutare chi siamo alla luce delle situazioni che ci mettono nella condizione di dover scegliere. E’ come se nella nostra testa spesso comparisse la domanda:

“…ma se io fossi me, cosa farei in questa situazione?”.

Ridicolo, ma reale.

 

Cercavo il materiale adeguato alla serata finchè non sono inciampata in una presentazione degli studenti per il corso di Psicologia delle Influenze Sociali della prof.ssa Volpato.
Avete presente quando fate una cosa per l’università e pensate “tanto poi non la vedrà più nessuno!”. Beh… no.

Non solo l’ho vista, ma mi è anche piaciuta! Al di là della prima analisi statistica, forse un po’ tecnica, guardate dalla slide 19 in poi. Gli studenti Belloni, Busdon, Carradori, Cesati e Redaelli hanno analizzato le pubblicità Rai2 di ogni sera per una settimana e hanno analizzato cosa vediamo. Guardate come vengono utilizzate le attrici donne per vendere le auto.

 

Eppure…

 

Mi chiedo cosa pensino gli uomini del loro obbligo sociale di conoscere tutte le caratteristiche delle auto. Possono decisamente infischiarsene ed andare in bicicletta?
Ed ancora, possibile che gli uomini in cucina siano solo “grandi chef” o, in alternativa, “impediti totali”, capaci solo di promuovere i 4 Salti In Padella e di svenire con 37,2 linee di febbre?! Anche l’uomo non ha diritto di altre immagini più normalizzanti a cui fare riferimento?

Gli studi sui generi si occupano di questo genere di cose.

Questo è ciò che serpeggia, riusciamo a guardarlo con occhi critici? Con occhi che ci permettano di capire quali sono le spinte che ci giungono dall’esterno e quali invece vogliamo assecondare dall’interno?

Vorrei un mondo di individui consci, “nudi”, nel quale ognuno è fedele a se stesso.

Vorrei un mondo di persone consapevoli che le mele sono state loro offerte, ma mai avrebbero pensato di mangiarle prima di quel momento.
Vorrei un mondo di persone che sappiano cogliere la propria responsabilità di aver comunque colto quella mela, ed averla riproposta, a volte in maniera ossessiva, a chi sta loro attorno. Ai figli, agli amici, ai propri animati.

Cosa stai offrendo agli affamati?

 

Ma se tu fossi in te, ed ora che hai aperto gli occhi sullo strisciante modellamento dei generi maschile e femminile lo sei, cosa offriresti come modello alle persone che ti stanno vicino?

Il tutto per le parti: il sistema si occupa del singolo. (4)

E’ partita la nuova edizione del To Human Skills a Vicenza. 26 ragazzi si sono iscritti al pecorso e li abbiamo incontrati per la prima volta venerdì.

In questo weekend invece saremo in grotta, al Buso della Rana, per fare una formazione un po’ diversa dalle altre!

Ecco quindi la quarta ed ultima parte che ci ha accompagnati a novembre alla serate di presentazione della teoria che circonda il To Human Skills… ed io ho analizzato l’importanza del gruppo. Le parti precedenti le trovate nel blog.

To Human Skills 2.0. Un'avventurosa formazione agli educatori vicentini con Anna Zanellato e Stefano Panella.

L’autostima sappiamo essere la misura di una differenza: la differenza tra ciò che sono io e ciò che voglio essere. Come posso raggiungere ciò che voglio essere?
Nelle relazioni interpersonali per poter cambiare so che è possibile condurre delle scelte personali perché il confronto personale con l’altro mi insegna che io sono artefice del mio destino. E’ possibile modificare un aspetto della vita con l’impegno individuale. Dopotutto è un mondo giusto che saprà ricompensare gli sforzi personali.
Diversamente accade nelle relazioni tra i gruppi dove per modificare la propria posizione l’individuo deve operare come membro del gruppo per operare un cambiamento sociale. Questa percezione si chiama esperienza di destino comune. L’impressione mentale di un’appartenenza ad un gruppo sottende che solo attraverso un cambiamento di massa, una rivoluzione, solo allora potrà esserci una modificazione di un aspetto della vita. Questa percezione ha una conseguenza davvero notevole perchè porta anche ad assumere comportamenti conformi al gruppo nel quale ci si identifica fortemente accentuando gli stereotipi d’appartenenza e depersonalizzando se stessi a favore del gruppo. La lotta per il cambiamento deve essere giustificata con la totale adesione al gruppo che sta operando una modificazione: gli investimenti personali fatti per la conquista del mutamento devono essere senza dubbi, non è possibile che sia presente il dubbio che io faccia parte o meno del gruppo per il quale sto facendo dei sacrifici.

Nonostante l’individuo si pensi come appartenente a più gruppi contemporaneamente solo un’appartenenza alla volta è significativa nel pensiero poiché il concetto di sé deriva dal contesto: il sé sociale deriva dalla categoria sociale più saliente in quella situazione. Questo significa che l’ambiente rende più sensata un’appartenenza rispetto ad un’altra: in famiglia mi sento moglie, al lavoro mi sento libero professionista, in viaggio in Africa mi sento bianca, nel negozio di abbigliamento mi sento donna, … Così facendo più gruppi sono contemporaneamente positivi.

Esistono tre macro  livelli per la categorizzazione di sé: il livello personale, l’identità sociale e l’identità umana (con cui concluderò questo contributo).
Come abbiamo detto il bisogno di sé positivo distorce il nostro confronto intergruppi attribuendo positività alla nostra appartenenza. La ricerca di valore è una forza molto importante che dobbiamo saper sfruttare con i gruppi dei quali siamo animatori. Infatti se fino ad ora abbiamo considerato i bias come degli errori del pensiero è necessario che comprendiamo che sono degli strumenti necessari ed utili alla persona. La volontà di appartenere a gruppi positivi è un’energia vitale! La crescita personale continua di minori ed adulti significa anche cercare di entrare in gruppi che sono considerati dall’individuo come positivi per generare un’autostima positiva. Ogni persona vuole il meglio da sé: qual è una potenza più grande?
Questa risulta essere una sfida per i gruppi condotti da animatori. Il gruppo d’appartenenza pertanto deve essere attraente. Deve avere un’aura di prestigio e valore. Deve essere un gruppo che porta valore nella vita di chi decide di appartenervi. Il gruppo ha la forza di rispondere alle domande esistenziali dei suoi membri per il solo fatto di essere un gruppo di persone che affronta situazioni condivise. Infatti il confronto interpersonale, il pubblico di coetanei che ascolta la narrazione, l’osservazione delle differenze minime personali sono intrinseche nelle relazioni e si moltiplicano nell’appartenenza ad un gruppo. Ma la relazione non è il solo vantaggio. Dobbiamo dare importanza all’appartenenza prestigiosa perché nella società attuale molte sono le offerte che vengono fatte ai ragazzi e i gruppi possono soffrire della competizione con altre agenzie più o meno educative o d’intrattenimento. Dobbiamo fare surf sulla voglia intrinseca dell’uomo di essere sempre migliore e cavalcare le onde del mondo liquido. E’ necessario offrire loro questa possibilità ed incitare il cambiamento verso il bene ed il bello dato dalla rivoluzione che ogni gruppo può attuare.

In conclusione sappiamo perché l’individuo ha necessità di appartenere: gli è necessaria per la definizione di sé.
Come possiamo sfruttare questa conoscenza per migliorare il sistema? Categorizzarsi come Uomo e Donna del mondo uniti per un cambiamento verso il positivo. Non è forse questa la vera human skill? Il cammino indicativo vuol far percepire il gruppo di appartenenza come molto ampio e sempre più connesso all’identità umana che deve essere facilmente accessibile nella mente di ogni individuo. Voler sentirsi parte di qualcosa di grande. L’accessibilità cognitiva deriva da tre variabili: la consapevolezza personale dell’appartenenza data dalla riflessione narrativa di sè, la positività relativa del gruppo se confrontato con altri gruppi ed un forte investimento emozionale.

Prendiamoci questa responsabilità. Questo è il prestigioso mondo degli Uomini e delle Donne.

Vuoi farne parte?

Gli spunti teorici di questo contributo sono elencati di seguito:
Processo di categorizzazione sociale (Doise, 1976)
Teoria del confronto sociale e della dissonanza cognitiva (Festinger 1954, 1957)
Teoria dell’identità sociale (Taijfel 1978)
Teoria della categorizzazione di Sé (Turner et al., 1987)

 

Vedere la vita col filtro ‘FUNNY’? No, grazie.

Siate tristi.

Siate invidiosi, in imbarazzo, a disagio, spaventati. Vergognatevi. Impanicatevi.

Ho fatto un lungo viaggio in auto nei giorni scorsi da cui è emersa questa riflessione.
Lungo la strada con mio marito mi annoiavo enormemente (…) così ho deciso di applicare al mondo l’effetto ‘funny’! Avete presente quando scattate una foto con lo smart e poi applicate un filtro che vi permette di invecchiarla, saturarla, contrastarla, toglierne i colori? Ecco, ho fatto la stessa cosa allo scenario che vedevo dal finestrino: lo commentavo scioccamente, leggendo i cartelli fischi in fiaschi, commentando il panorama dicendo “non ti sembra che quella montagna in realtà somigli a…?”, storpiando le parole delle canzonette alla radio e così via in un vortice senza fine di totali scemenze. Una cretinetta.

Per la gioia di mio marito, chiaramente. Ho avuto più volte la sensazione che cercasse attivamente di far sfracellare il lato passeggero sul guard rail.
“Uso il filtro ‘funny’. Conosco un sacco di persone che vedono la vita con un filtro, perchè io non posso scegliere il ‘funny’ per un po’?”.

Ognuno di noi filtra gli eventi della vita attraverso un modo di vedere le cose.
Ma in questo modo le appiattisce: vede quello che vuole vedere. Non coglie le sfumature.

Il che è comprensibile perchè la vita è grezza. I fotografi direbbero che è in formato RAW. Possiede moltissime informazioni e per questo il file diventa pesante.
Per alleggerirla la modifichiamo. Salviamo quello che ci interessa, spesso però non solo scartiamo ma anche ne cambiamo i colori, applicando un filtro che la modifica sensibilmente.
Guardate: 1. vita 2. quel che percepiamo della vita 3. filtro biancoenero

 

Sinceramente diffidate dalle frasi fatte che vi consigliano di cambiare le vostre emozioni per appiattirle. Allontanatevi dalle idee di coloro che vi dicono che non potete essere tristi, invidiosi, vergognosi, spaventati. Che dovete essere felici.

Come si può essere coraggiosi se non si conosce la paura?
Come si può cogliere la felicità se ci obblighiamo a riconoscerla in tutto ciò che ci circonda?

Ogni emozione ci guida nella vita: l’invidia, ad esempio, ci permette di capire cosa davvero vogliamo. Il timore ci rende guardinghi. La vergogna accompagna il pudore.

Non possiamo posticciamente applicare il filtro ‘happy’ alla vita. La vita non è sempre happy! Lo sarebbe solo se fossimo costantemente sotto effetto di droghe (NDR: che però hanno effetti collaterali impegnativi).

“Guarda il bello!” dicono. Ma io qui vi dico che il bello non c’è semprissimo.

Ci sono periodi veramente di cacca. Davvero.

Ma anche la cacca non c’è semprissimo. Ci sono anche periodi esaltanti.

Non vi chiedo di essere sempre esaltati. Sarebbe come vivere tutto il tempo col filtro ‘funny’: un’incubo, chiedete a mio marito. Non solo, sarebbe finto.
Vi chiedo di saper discriminare, di dare alle giuste emozioni il giusto tempo.
Chiamare per nome ciò che proviamo, sia esso anche dolore.

In poche parole vorrei che questo fosse il vostro mantra:

DA OGGI TOLLERO LE SFUMATURE.

Forse da domani, o da lunedì. Come la dieta.
A me va bene lo stesso, perchè devo dire la verità: io tollero le sfumature di colore.
Anzi, le trovo decisamente affascinanti. Non solo bianco e nero, ma desidero per me e per le persone a cui voglio bene una vita a colori. Quindi fate un po’ come vi pare.

E’ più impegnativo vivere così, ma più realistico.

(VIDEO FINALE!)
Uomini che vedono per la prima volta a colori, grazie a speciali occhiali:
https://www.youtube.com/watch?v=o6QuYiY1EJg

“Mi sono reso conto di cosa mi perdevo prima. Il mio colore preferito era solitamente il blu. Adesso è il rosso. Il rosso è un colore intenso e magnifico!”

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