L’ansia non è un problema.

L’ansia è un’attivazione del corpo, una tensione che rende irrequieti ed irritabili. Ci costa fatica, ci porta difficoltà a concentrarsi e vuoti di memoria. Modifica le nostre quotidianità con tensione muscolare e alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente).

L’ansia è “un’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento futuro con sentimenti di disforia o con sintomi fisici di tensione“.

L’ansia è un’amica che ci fa focalizzare su un problema: come quando poco prima degli esami non ci fa uscire di casa per un po’ per concentrarci sullo studio dell’ultimo minuto. Non è male, eh. Non dobbiamo combatterla, dobbiamo allearcisi.

Quando potrebbe invece sfuggirci di mano? Qual è il problema dell’ansia?

L’evitamento.

Quando cominciamo a non fare più le cose che ci danno tensione e cominciamo a sfuggirle. Quando invece che studiare, ritenendo di non riuscire a fronteggiare l’ansia, ci spariamo di serie tv. Narcotizzati per non sentire nulla: 03×17 – 03×18 – 03×19 –
Quando mi alzo per controllare il frigo. Ed è uguale a 10 minuti fa.
Quando mi fermo a parlare con una conoscente, il tempo vola, ordino un’altra birra anche se so che a breve ho una consegna di lavoro o devo affrontare una scelta importante ma “non ci voglio pensare”.
Quando intanto pulisco il bagno così almeno mi sembra di aver fatto qualcosa.
Quando è già ora di cena, è troppo tardi per fare qualcosa.
Il “tanto ormai“.

Quando cominciamo a non presentarci agli appelli d’esame, nemmeno per dare un’occhiata.
Quando non ci iscriviamo ai corsi, quando non ci candidiamo per alcuni posti di lavoro o posizioni di responsabilità, quando scegliamo di stare nelle vicinanze, quando diciamo di no per sicurezza.
Il “non è per me“.

L’evitamento potrebbe coinvolgere le occasioni sociali, il lavoro, la famiglia, i viaggi… viene scelto per autoproteggerci, costruiamo un guscio sicuro, ma nessun luogo per noi è al sicuro. Nemmeno a casa, nemmeno a letto. Non sappiamo più cosa sia un luogo al sicuro.
Lo applichiamo soprattutto alle situazioni nelle quali l’esito è incerto: non sappiamo come andrà. Il problema non è quindi l’ansia, ma la nostra incapacità di gestire la situazione, di risolvere il problema, di essere fiduciosi nelle aspettative ma non demoralizzati da eventuali fallimenti. Ci sembra di essere delle brave persone perchè stiamo pensando tanto a tutto, ma in realtà siamo bloccati e non portiamo a conclusione nulla. E’ tutto sproporzionato, abbiamo paura di aver perduto la capacità di tenere sotto controllo il nostro corpo e la nostra mente.

Cerchiamo continue rassicurazioni: nelle persone e negli oggetti. Chiediamo di essere accompagnati, stiamo al telefono con le persone amate.
Diventiamo superstiziosi e spesso gli ansiolitici diventano una coperta di Linus che portiamo con noi per fare fronte alle situazioni incerte.

Leggiamo sempre segnali che confermano il nostro stare, come per poterci dire che tutto questo non è assurdo, che noi in realtà sapevamo che non sarebbe andata bene.

Non è l’ansia il problema: il problema è che siamo diventati intolleranti.

 

Harry e la Camera degli Eco Segreti.

Ho cambiato lo sfondo alla chat di WhatsApp e ho fatto una riflessione che credo sia utile divulgare qui. Pensa te da dove colgo gli spunti sulle riflessioni psicologiche.

Mi sono ricordata di un interessante intervento di Guido Saraceni al TedXVicenza2018 riguardo la diffusione delle fake news e il principio della Camera dell’Eco. Appena caricheranno il video nella piattaforma YouTube lo includerò in questo post.
La camera dell’eco è un’immagine metaforica che vuole suggerire la percezione che molti di noi hanno quando scorrono le home page sui social: troviamo sempre le stesse cose, come fosse un eco continuo. Un pochino è dovuta al fatto che cerchiamo sempre gli stessi argomenti di cui siamo curiosi e un po’ è data dagli algoritmi delle aziende che permettono di farci trovare più in fretta proprio quello che stavamo cercando.

E’ il paradosso della democrazia su internet: per quanto sia vero che c’è il tutto e il contrario di tutto; è anche vero che trovo sempre le stesse cose (e a questo proposito non vi dico quanto sia difficile la vita da sessuologa).
Quindi non mi affaccio ad una pluralità di fonti che devo poi fondere e far interagire tra loro con la mia intelligenza personale, ma trovo sempre conferme di ciò che penso già. Un’economia di pensiero, in effetti. Zero sforzi, tutta salute!

Anche perchè anche i miei amici sono ugualmente noiosi e postano e ripostano sempre gli stessi contenuti. E’ per quello che alla luce delle elezioni politiche mi sono sorpresa: i risultati cozzavano sensibilmente con la mia percezione di realtà data dalla mia camera dell’eco virtuale e reale. Una camera dell’eco che mi ha illusa di non dover dire la mia, perchè non era necessario. Che sciocca.

 

Le stesse informazioni, le stesse idee, le stesse credenze, gli stessi pregiudizi. Quello che creerebbe differenza è già stato pre-censurato. Sembra incredibile perchè la censura dovrebbe essere un affare da canali TV nazionali o privati, invece ce la vendono come servizio incluso.
Ma siamo stati noi i primi a cercare i contenuti che ci piacevano, ad esporre il nostro credo, “loro” hanno solo seguito il flusso, filtrando poi al posto nostro.
Andiamo a crearci una realtà personale unica e costruita ad hoc estremamente coerente al suo interno.

 

Aggiungo un’informazione tecnica da psicologa che vi chiedo di assemblare alla spiegazione della camera dell’eco che vi ho appena fornito e di valutarne le conseguenze: non sono le emozioni che generano i comportamenti, sono i comportamenti che generano le emozioni.

Spiego meglio perchè si tratta di un rovesciamento di pensiero, una sorta di soluzione all’intrigo dell’uovo e della gallina. Per quanto questi siano indissolubilmente legati in una relazione perversa di causa-effetto senza soluzione di continuità esiste una possibilità di frattura del sistema: cioè si può uscire dal loop.

Noi siamo fortemente convinti che per essere realmente noi stessi dobbiamo essere congrui al nostro sentire. Le persone autentiche sono coerenti alle emozioni che provano. Se siamo arrabbiati allora siamo aggressivi. Se siamo tristi ci strafoghiamo di gelato col cucchiaio grande. Se siamo felici facciamo una festa.
Cazzate. (-lo scrivo così, volgarmente, per brevità d’intenti-)

Non solo non è vero, ma può essere anche dannoso.
Sembra che se uno è triste allora deve “fare il depresso” e sembra non uscirne più, in un loop emotivo che trova continuamente conferma in se stesso.

 

Questo accade per la nostra credenza di causalità: è l’emozione che causa il nostro agire?
-NO-

Non è l’emozione che ci governa: è la nostra identità! Potremmo avere tanti, moltissimi valori, ma ne scegliamo alcuni che diventano costellazioni che guidano la nostra vita. Scegliamo di voler essere liberi oppure uguali, veri, giusti, belli, generosi, degni, affermati, appassionati, creativi,… ed è per questa ragione, attraverso il pensiero, che scegliamo di mettere in atto alcuni comportamenti nella nostra quotidianità.

E saranno poi questi comportamenti che faranno scaturire delle emozioni: se passo il weekend sola e chiusa piuttosto che non immersa tra cultura, amici, famiglia, gastronomia, aria aperta… le emozioni che si genereranno saranno completamente differenti.

La gioia non capita per sbaglio.

Si tratta della differenza tra vivere e farsi vivere. Noi siamo un filtro tra ciò che ci accade e ciò che vogliamo che accada. Siamo NOI la frattura al loop.
Noi siamo i primi a generare la camera dell’eco delle nostre emozioni.

La testa nel cielo è vero, ma il camminare ti entra da terra,
e pronti a partire, rischiare la strada,
i fiori più veri non son quelli di serra.
 – E va, più in su, più in là, controvento,
è lotta dura, ma tendi lo spago
e se sta a cuore a noi non è vana speranza:
cambierà; oltre la siepe và.

E’ per questo che dobbiamo decidere come vogliamo sentirci e quindi decidere cosa vogliamo fare stasera, cosa vogliamo fare questo weekend, come vogliamo rispondere al nostro capo, cosa vogliamo dire alla persona che amiamo, cosa fare per cena, con chi passare un’oretta al telefono la sera, a chi scrivere una mail, che musica ascoltare in auto, che tipo di sfondo vogliamo vedere sulla chat di WhatsApp, che articolo scrivere sul blog… blablabla
E non sarà comodo. Decidere non è mai comodo, eh. Bisogna immaginarsi le conseguenze delle nostre azioni (capacità predittiva), capire come potremmo stare dopo (metacognizione) e fare (il comportamento è sempre più forte dell’atteggiamento, Festinger). Vedere oltre e prenderci quella responsabilità.

Così saremo veramente autentici, perchè avremo scelto tra le possibilità infinite, non perchè ci siamo fatti scegliere dalla situazione.

Sempre più sta diventando per me un mantra la frase “scelgo quindi sono”.
Ma poi sarà più semplice perchè la camera dell’eco si autoalimenterà filtrando ciò che si avvicina sempre più alle nostre decisioni. Le gioie si moltiplicano, si rispecchiano infinitamente le une sulle altre, si autoconfermano.

Bisogna solo shiftare nel mondo nel quale vogliamo vivere.

solo

 

In bocca al lupo a tutti noi.
Io scelgo il cambiamento per me. Per questo ora schiaccerò il pulsante “Pubblica” e seguo il flow che mi dimostrerà che avevo ragione. Ovviamente.

 

(a cosa servono quindi le emozioni? a conoscere il mondo)

Vedere la vita col filtro ‘FUNNY’? No, grazie.

Siate tristi.

Siate invidiosi, in imbarazzo, a disagio, spaventati. Vergognatevi. Impanicatevi.

Ho fatto un lungo viaggio in auto nei giorni scorsi da cui è emersa questa riflessione.
Lungo la strada con mio marito mi annoiavo enormemente (…) così ho deciso di applicare al mondo l’effetto ‘funny’! Avete presente quando scattate una foto con lo smart e poi applicate un filtro che vi permette di invecchiarla, saturarla, contrastarla, toglierne i colori? Ecco, ho fatto la stessa cosa allo scenario che vedevo dal finestrino: lo commentavo scioccamente, leggendo i cartelli fischi in fiaschi, commentando il panorama dicendo “non ti sembra che quella montagna in realtà somigli a…?”, storpiando le parole delle canzonette alla radio e così via in un vortice senza fine di totali scemenze. Una cretinetta.

Per la gioia di mio marito, chiaramente. Ho avuto più volte la sensazione che cercasse attivamente di far sfracellare il lato passeggero sul guard rail.
“Uso il filtro ‘funny’. Conosco un sacco di persone che vedono la vita con un filtro, perchè io non posso scegliere il ‘funny’ per un po’?”.

Ognuno di noi filtra gli eventi della vita attraverso un modo di vedere le cose.
Ma in questo modo le appiattisce: vede quello che vuole vedere. Non coglie le sfumature.

Il che è comprensibile perchè la vita è grezza. I fotografi direbbero che è in formato RAW. Possiede moltissime informazioni e per questo il file diventa pesante.
Per alleggerirla la modifichiamo. Salviamo quello che ci interessa, spesso però non solo scartiamo ma anche ne cambiamo i colori, applicando un filtro che la modifica sensibilmente.
Guardate: 1. vita 2. quel che percepiamo della vita 3. filtro biancoenero

 

Sinceramente diffidate dalle frasi fatte che vi consigliano di cambiare le vostre emozioni per appiattirle. Allontanatevi dalle idee di coloro che vi dicono che non potete essere tristi, invidiosi, vergognosi, spaventati. Che dovete essere felici.

Come si può essere coraggiosi se non si conosce la paura?
Come si può cogliere la felicità se ci obblighiamo a riconoscerla in tutto ciò che ci circonda?

Ogni emozione ci guida nella vita: l’invidia, ad esempio, ci permette di capire cosa davvero vogliamo. Il timore ci rende guardinghi. La vergogna accompagna il pudore.

Non possiamo posticciamente applicare il filtro ‘happy’ alla vita. La vita non è sempre happy! Lo sarebbe solo se fossimo costantemente sotto effetto di droghe (NDR: che però hanno effetti collaterali impegnativi).

“Guarda il bello!” dicono. Ma io qui vi dico che il bello non c’è semprissimo.

Ci sono periodi veramente di cacca. Davvero.

Ma anche la cacca non c’è semprissimo. Ci sono anche periodi esaltanti.

Non vi chiedo di essere sempre esaltati. Sarebbe come vivere tutto il tempo col filtro ‘funny’: un’incubo, chiedete a mio marito. Non solo, sarebbe finto.
Vi chiedo di saper discriminare, di dare alle giuste emozioni il giusto tempo.
Chiamare per nome ciò che proviamo, sia esso anche dolore.

In poche parole vorrei che questo fosse il vostro mantra:

DA OGGI TOLLERO LE SFUMATURE.

Forse da domani, o da lunedì. Come la dieta.
A me va bene lo stesso, perchè devo dire la verità: io tollero le sfumature di colore.
Anzi, le trovo decisamente affascinanti. Non solo bianco e nero, ma desidero per me e per le persone a cui voglio bene una vita a colori. Quindi fate un po’ come vi pare.

E’ più impegnativo vivere così, ma più realistico.

(VIDEO FINALE!)
Uomini che vedono per la prima volta a colori, grazie a speciali occhiali:
https://www.youtube.com/watch?v=o6QuYiY1EJg

“Mi sono reso conto di cosa mi perdevo prima. Il mio colore preferito era solitamente il blu. Adesso è il rosso. Il rosso è un colore intenso e magnifico!”

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SEX PILLS – Donne e uomini che si autorealizzano

Mi sono commossa guardando questo video in lingua spagnola di sostegno alla campagna ONU di promozione dell’uguaglianza di diritti tra uomini e donne HeForShe, lanciata da Emma Watson. E’ esattamente quello che voglio da questo mondo. E’ la mia lotta, il mio respiro.
 
Parla di un’uguaglianza civile vera, senza pregiudizio, per le donne e per, spesso lo scordiamo, per gli uomini.
Parla delle gioie della vita: la soddisfazione di fare ciò che ci viene bene e di cui ci assumiamo una responsabilità, senza scordare il genere a cui apparteniamo. Di come arrampicarci sulla piramide di Maslow, per giungere a ciò che ognuno di noi ambisce: l’autorealizzazione.
Questa è la mia vocazione di vita, la mia scelta come donna di questa polis, la mia scelta di servizio al prossimo.
 
“Un uomo deve essere ciò che è capace di fare. Egli deve essere coerente con la propria natura. L’autorealizzazione è un desiderio di diventare sempre più ciò che si è idiosincraticamente, di diventare tutto ciò che si è capaci di diventare”.
Maslow